Parrocchia Sant'Antonio di ALBEROBELLO

Sacerdote della Diocesi di Como, nato in Valle San Giacomo, al confine con la Svizzera, il 19 Dicembre 1942; già da seminarista sente che non può accontentarsi di rispondere ai soliti bisogni scontati della Parrocchia italiana di fine Ottocento: vede che la miseria affiora anzitutto su un piano sociale (analfabetismo, abbandono di minori e di vecchi, disabilità fisica e psichica, sfruttamento nel lavoro, disoccupazione, emigrazione forzata) poi anche su un piano spirituale (fede in crisi, vita spirituale non curata, solitudine dei credenti cattolici in terre protestanti). Giunge presto a capire che il dramma vero, il delirio del suo tempo è la visione confusa di Dio; il cuore del Vangelo, cioè l’annuncio che DIO E’ PADRE, non è stato colto nonostante 19 secoli di Cristianesimo. Così prende corpo il progetto: rivelare il Padre e il suo amore di predilezione per i piccoli del Regno, fare famiglia intorno ai senza-casa di questa terra, spaccarsi le mani perché “NESSUNO SIA LASCIATO INDIETRO NELLA VITA”.

Don Guanella

Dopo anni di attesa, di tentativi, di prove difficili, nel 1886 apre la sua Casa Madre a Como, il Santuario del Sacro Cuore, culla delle sue Opere che in pochi anni si spargono in Italia, in Svizzera, in America; nascono i tre rami: Servi della Carità, Figlie di Santa Maria della Provvidenza e Cooperatori Guanelliani, laici legati all’Opera con la promessa di condividere il carisma guanelliano. Muore a Como il 24 Ottobre del 1915e nel 1964 il Papa Paolo VI lo proclama Beato , facendo perno su uno dei pilastri della sua spiritualità, il primato di Dio, seconda la sua espressione nota e illuminante: “E’ DIO CHE FA”. Il suo variegato mondo di poveri deve rendersi conto che non è abbandonato a se stesso e non è destinato alla rivolta, ma chiamato alla gioia del Paradiso, già ora.


DON LUIGI GUANELLA: SULLA FRONTIERA DELL’EMARGINAZIONE

PRIMA PARTE

Una delle p olemiche e delle accuse più frequenti fatte a don Guanella era sul numero eccessivo dei suoi poveri, sull’eccesiva serie di iniziative che intraprendeva. A tutti pareva troppo. Da ridurre, da ordinare.

Si poneva allora il dilemma: ‘poco e bene’ oppure ‘tanto anche se abborracciato’?

Era un dubbio anche logico, ma più da persona seduta al tavolo a pensare i metodi di assistenza; non però alternativa seria per chi tutti i giorni si trovava davanti a forme vecchie e nuove di miserie e abbandono.

E allora si discuteva, mentre lui operava, sulla sua ‘Arca di Noè’, il disordine, l’irrazionalità; naturalmente alla fase convulsa delle origini, seguiva poi la fase dell’assestamento; ma poiché la fame e la miseria non danno tregua, egli inclinò sempre per il ‘tanto anche se un po’ alla buona’.

Il progresso, come lo vedeva don Guanella, più che creare macchine o solo benessere materiale, doveva migliorare le persone, senza lasciar indietro nessuno. Lo aveva intuito nella sua fantasia infantile; da adulto si rese conto di dover fare qualcosa, il più possibile, per garantire una dignità di vita, di casa, di trattamento, di amicizia per aiutare i ritardati sulla strada del progresso umano e rientrare nella società con sufficiente preparazione e dignità personale: e questo per tutti, anche per coloro che spesso erano dati come irrimediabilmente perduti.

Lo sosteneva una forza di carattere già messa in rilievo: “Timidezze e vie oblique non le conobbi mai!”.

Don Luigi era deciso, volitivo, pratico, ma anche paziente. Aveva pluralità di interessi: l’arte, la natura, le scienze e le tecniche, ma soprattutto per lui contava l’uomo: i rapporti interpersonali, l’amicizia, la dedizione, il servizio. Se personalmente era austero e rigido, ardente e fatto per rompere gli indugi e dissipare le difficoltà, sapeva esser paziente e benevolo, accondiscendente verso chi capiva avere un’andatura più lenta della sua; non solitario, ma reso convinto dalle sue origini montanare del bene della solidarietà; era amico cordiale e lieto, anche allegro, aperto a ogni persona e persuaso che anche l’uomo più grezzo o difficile nasconda tesori preziosi e bellezze da valorizzare.

Molti discutono circa la sua collocazione storica nell’Otto-Novecento politico, socialee cattolico, ma fu in realtà un pastore, specialmente dei poveri, dipendente dai suoi superiori e questo fu anche il suo cruccio profondo: come concordare la grazia e il carisma interiore con l’obbedienza e la coerenza agli impegni assunti; la fede con la ragione e la prudenza. Per alcuni era santo, per altri un matto. Intensamente immerso nel suo presente e profeticamente avanti verso il futuro.

La sua scoperta interiore fu la salda convinzione della paternità di Dio; il grande principio della teologia cristiana fu per lui una rivelazione personale e un’esperienza di vita: un Padre buono che ama e che vuole salvare ogni uomo da ogni miseria morale, fisica e materiale. Anzi all’uomo è concesso di partecipare a questa paternità come trasmissione di amore, di vita, di salvezza. Assunse quindi come sua insegna una croce col cuore e il motto agostiniano: “in omnibus caritas”; l’amore come donazione di vita. La sua vita ha quindi uno stile prop rio: egli si sa collegare a Dio come padre, con una intensa motivazione di fede contemplativa; si intende con Dio colloquiando in lunghe udienze e ore di preghiere, o inviando un sorriso frequente di breve invocazione e tutta la vita è un fiducioso abbandono alla provvidenza del Padre: “ama e sii beato!”.

Ma poi è urgente rivolgersi subito ai fratelli, muovendosi con la stessa vivacità di amore. La pietà verso Dio non deve essere un mantello per contrabbandare inerzia o egoismo; occorre diffondere questo amore del Padre, ricostruire con l’uomo una famiglia cordiale, dove a nessuno incolga male di sorta e ognuno, nel cammino della vita, approdi a meta felice. Ma, avverte, senza illusioni: occorre saper gustare la bellezza della donazione, del sacrificio che genera vita; con un realismo concreto don Guanella afferma la legge del patire; ogni opera, ogni Casa nasce tra le difficoltà e i contrasti: “fame, fumo, freddo, fastidi”.

Nella pratica questo diventava, per i suoi preti e le sue suore, un impegno a darsi direttamente e personalmente, lavorando di mano propria, con cordialità e semplicità; soprattutto in grande povertà.

Egli l’aveva prima vissuta personalmente, comprendendo come questa debba esser realmente condivisa col povero, per percorrere assieme un cammino di progresso.

don Pierino Pellegrini, guanelliano


DON LUIGI GUANELLA: SULLA FRONTIERA DELL’EMARGINAZIONE

SECONDA PARTE

Per don Guanella i poveri entrano in casa nostra come fratelli, con la speranza di ricostruirsi una vita, ma senza falsi salti in avanti o cambi gratuiti di condizioni o di stato; sono poveri a cui è offerta la possibilità di mezzi adatti per recuperare i ritardi sociali, economici, culturali e anche psichici; entrano come in un’azienda fondata sul lavoro personale e sulla solidarietà di molti amici; apprendono come si costruisce una vita e ci provano, se sono giovani. Se sono anziani, ritrovano la gioia di stare fra amici che sanno preoccuparsi ancora di loro, di sentirsi ancora al centro di interessi personali e di affetti, di dimenticare un poco l’amarezza verso una società che tentava di scaricarli come naufraghi, di riprovare forse ancora la sensazione di essere utili a qualche cosa e di morire con una speranza.

Fra i molti e diversi casi di povertà da assistere, don Guanella amò orientarsi lungo due linee principali: “i più poveri e i più abbandonati, fra i figli poveri ed i vecchi poveri”. Ma “tra i figli e i vecchi poveri venivano in abbondanza le creature scarse di mente che, ad esempio del Cottolengo, la casa chiamò buoni figli”. Furono specialmente queste categorie - ragazzi, anziani, disabili - che trovarono assistenza e ospitalità nella sua opera di Como, e, quando questa fu sufficientemente sistemata, si passò verso località nuove, a raggio sempre più largo lungo l’Italia e all’estero: a Milano, a Como-Lora, poi a Roveredo nella Svizzera italiana, a Nuovo Olonio nel 1899 con l’avvio delle colonie agricole per i subnormali; a Fratta nel Polesine, a Roma, fino a Cosenza e negli Stati Uniti. E attorno a queste istituzioni una pleiade di opere diverse, dagli asili per l’infanzia alle parrocchie, alle assistenze per gli emigrati, stazioni climatiche e case con laboratori tipografici, incannatoi e artigianati vari maschili e femminili. Si cominciava sempre dal piccolo, poi la Provvidenza conduceva anche assai lontano: si andava avanti e “da cosa nasce cosa”, come gli era ormai proverbiale ripetere. E contemporaneamente la Provvidenza mandava i collaboratori adatti: due nuclei di religiose e di religiosi si andarono costituendo gradualmente, coinvolti dalla figura carismatica di don Guanella, dal desiderio di fare un po’ di bene, sostenuti dalla grazia di Dio. Nel 1912 don Leonardo Mazzucchi, primo biografo e tra i primi successori del Fondatore, preparava un breve scritto per un albo commemorativo del venticinquesimo delle opere, che poi non venne forse mai pubblicato: “Dal 1886 al 1911: da Como a Roma. Venticinque anni sono, un povero prete montanaro, messo a reggere una piccola parrocchia del Lario, che molti osteggiavano, i benevoli compativano credendolo incapace a dare esecuzione ai suoi grandi ideali; qualche lira in tasca; alcune camere modeste in una via secondaria di Como. Null’altro? Molto altro: tutto; c’era la persuasione, la fede inconcussa in una vocazione data da Dio, c’era il graduale ma effettivo svolgersi dell’assistenza del Signore. Difatti, a distanza di venticinque anni, ecco una fioritura di case in diverse parti d’Italia e dell’estero, una folla di bisognosi beneficati, una schiera di seguaci generosi, pronti dietro a lui a consacrarsi ad estendere le conquiste della carità cristiana. Cioè: anche adesso, dopo venticinque anni, c’è ancor nulla da parte nostra, siamo nulla. Sono poveri ricoveri, veramente poveri, pieni di bisogni, recanti nel mare della beneficenza solo una gocciola insufficiente alla vasta pianura riarsa delle sofferenze umane; siamo umili preti, peccatori e sconosciuti, che abbiamo avuto la sorte avventurata e gratuita di trasmettere ai corpi e alle anime dei sofferenti e dei bisognosi quei soccorsi, che la numerosa accolta dei benefattori ci ha man mano affidato, con quella volonterosità che ci viene dal desiderio di far bene e di fare del bene e dalla grazia di Dio”.

A questi suoi figli e figlie spirituali trasmetteva il suo spirito e la sua missione. Per lui era quasi giunta l’ora di smontare la tenda e riavvolgerla. Gli ultimi atti furono un impegnativo viaggio negli Stati Uniti nell’inverno del 1912-1913; un duro impegno di presenza stimolante nel Gennaio 1915 fra i terremotati della Marsica, senza risparmiarsi un momento.

A fine Settembre fu colpito da paralisi e in breve il suo corpo cedette totalmente.

Lasciava debiti e poveri. Lasciava anche in contropartita e in missione il mondo intero: “Voi non avete più patria, perché tutto il mondo è patria vostra. La patria è là dove è Dio, e Dio è dappertutto”. Alla sua morte molti restarono stupiti nel vedere tutti quei poveri, ai quali don Guanella non aveva chiesto, al loro battere alla porta di casa, nient’altro che l’aver sofferto; non chiedeva tessera di partito né raccomandazioni di potenti. Presentavano le loro sofferenze ed egli li accettava in casa.

don Pierino Pellegrini, guanelliano