Parrocchia Sant'Antonio di ALBEROBELLO

COMINCIANDO DA COMO  - DON GUANELLA E LA FAMIGLIA GUANELLIANA OGGI


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di don Fabio Pallotta, guanelliano

Don Guanella  è il testimone delle origini

Tutto quello che esiste nell’Opera don Guanella, tutto ciò che ha preso forma e si è sviluppato in seguito, è presente in don Luigi, ma in modo molto semplice e incoativo. Egli non ha conosciuto il Vaticano II, le Costituzioni rinnovate e il Progetto educativo. Ignorava tutta la teologia della vita religiosa così come si è articolata dopo il Concilio e forse si sarà anche meravigliato della sua stessa Beatificazione.

Vivere la realtà delle cose, senza attardarsi a ricamare discorsi su di esse: di questo abbiamo bisogno e di questo don Guanella è maestro in maniera unica. Oggi è frequente la tentazione della gnosi, per cui ci si illude che la salvezza stia nel conoscere bene le cose. Meglio ancora: nel dirle esattamente.

Dopo il Vaticano II ci si è impegnati nel rinnovamento dell’esperienza cristiana e purtroppo, per molti, questo è costituito nel frequentare corsi di teologia o comunque di aggiornamento: studiare quanto viene insegnato dai maestri è stata ritenuta una via per diventare cristiani migliori; è la grande illusione del teaching.
Anche per la vita religiosa si sono moltiplicati corsi e capitoli generali per ridefinire la propria identità e riformulare regole o costituzioni; nelle Diocesi via libera a Sinodi, documenti, messaggi di ogni natura che nessuno ha più il tempo di leggere. Il rischio? Dimenticare l’essenziale: essere, e non parlarne, o scriverne. Tutto è esteriorizzato al livello di discorso così che, quando si sono dette le cose, si pensa di averle fatte.

Don Guanella si trova all’opposto di questo modo di concepire e di vivere: prima fa, poi spiega; prima agisce, poi illustra. Dice spesso di sé di essere più portato a iniziare che a perfezionare, più chiamato a rompere gli indugi che a discorrere e progettare. La prassi in lui non solo precede, ma ispira e illumina la teoria.

Quando si parla di carisma-spirito-missione di don Guanella e dei guanelliani si dovrebbe tenere sempre presente questo essere don Guanella ‘testimone delle origini’ di come cioè il dono di Dio ha coinvolto lui e i compagni della prima ora a impiantare cosa. E nel modello-Como da loro realizzato appare come il frontespizio ideale di ogni casa.

Negli anni si è sviluppata nel mondo guanelliano una realtà che è sì opera di grazia, in tutte le sue parti, ma che non sempre pare attingere da una ‘matrice comune’; a volte -al contrario- si è scambiata la matrice con le forme esteriori, per cui si sono riprodotte, anacronisticamente e artificialmente, a emisferi di distanza, delle strutture presentate come guanelliane solo in quanto ‘copia’ di modelli italiani. Ma non basta riprodurre le strutture: altro è generare altro è clonare. Conta il DNA che, ovviamente, non sta tutto nelle forme.

Il senso della Casa Madre come senso ‘fontale’ andrebbe sviluppato sia nella cura del linguaggio che allora apparve, dei concetti messi in orbita, delle espressioni spirituali, sia nella ripresa del gesto di carità quale emerse col Fondatore, dal momento che proprio questi due elementi -il quid e il quomodo- per quanto culturalmente contingenti, lo Spirito ha prima di tutto ispirato e in essi ha consegnato a noi il carisma.

Scegliere i poveri non significava per il Fondatore organizzare l’assistenzialismo, moltiplicare le risposte, allestire i soccorsi come tappo alle falle della società. È apostolo: la scelta dei poveri gli viene dal Vangelo e la scelta di quei poveri gli viene dalla storia.                     
E’ la visione di Chiesa che don Guanella nutre a comandargli i movimenti interiori e le scelte esteriori: in lui si mescolano incredibilmente il mondo visibile e quello invisibile ed entrambi lo coinvolgono, per cui avverte che Dio è presente con la sua Provvidenza nelle vicende umane e vuole salvare ogni figlio, ma vive in tempi di lotta e di persecuzione contro la Chiesa. Per questo avverte anzitutto il bisogno di essere figlio amante della Chiesa, unica ‘arca’ di salvezza proposta da Dio agli uomini. Come proporre la Chiesa qui e adesso? Questo diventa il motore che tutto muove: riaffezionare i figli lontani alla Chiesa, partendo dai poveri, perché chi parte da loro guadagna alla Chiesa anche i più freddi e i più lontani e soprattutto perché questi -i poveri- Dio li ama con una tenerezza impensabile e per loro si è inventato la redenzione.

Non ci azzarderemo mica a dispiacere il cuore del Padre!

Una scelta per nulla originale, perché i poveri sono affidati a tutti i credenti e quei poveri diventano il popolo di mille altre congregazioni ed istituzioni, precedenti, contemporanee e successive alla nostra.

Ma allora cosa è propriamente guanelliano? La vita posta in circolo, il modello di relazione avviato, la terapia usata per mettere in piedi i poveri, la speranza vitale che nasce dalla fede; questo è di don Guanella, questo entra nel progetto ‘Como’ e di lì travasa in tutte le fondazioni. Il proprium non sta in quello che scrive, che dice o che fa, ma nel fatto che è lui a farlo e a farlo così; più che le piccole soluzioni teoriche -lo scivoloso tema della pedagogia guanelliana- è tutta la vita di don Guanella che dà un senso singolare a gesti comuni. Il proprium è questo cuore spalancato, davvero intrigante; quando descrive se stesso in quel gioiello che è l’autobiografia colpisce il ritornello per cui lui, don Guanella, “non conosceva indugi”, nel senso che non adattava i poveri alle forme, ma le forme ai suoi poveri e tracciava una via interessante di non-istituzionalizzazione delle forme della carità, che è quanto soffriamo maggiormente. Più un’opera si perfeziona, più si irrigidisce; più si irrigidisce, più si appesantisce; più si appesantisce e più si chiude; più si chiude e meno chiama…

Questa visione snella dell’Opera sarà la sua croce, perché di qui nasceranno tutte le polemiche di Roma circa il suo ‘fine senza fine’, per cui morirà senza vedere tutte le approvazioni pontificie. Era una formula troppo aperta la sua ed egli stesso ne percepiva l’attrito, resistendo tuttavia contro ogni volontà di inquadramento. La Provvidenza negli ultimi anni gli farà incontrare padre Benedetti e a quel sant’uomo sentirà di potersi affidare, scontando però un prezzo alto di ‘riduzione’ della sua creatura, la fondazione, per consolidarla. Fu una delle stagioni più sofferte e più interessanti del suo percorso. Basterebbe, per farsene un’idea sommaria, rileggere la deposizione meravigliosa di padre Benedetti ai Processi del Guanella quando il redentorista cerca di proporgli dei tagli circa il campo di missione e don Guanella a ripetergli: e allora quelli? E quegli altri? Come una madre che fosse costretta a scegliere tra quale dei suoi figli scartare. E Benedetti commenta divertito: “E io ogni volta a spiegargli che Roma….”. Ragioni irragionevoli per il cuore.

Sollevare i poveri e renderli protagonisti della loro storia. Il disegno guanelliano anzitutto vuole salvare i poveri dalla disperazione che può portare anche alla violenza; poi cerca di spingerli fuori dalla rassegnazione che annulla ogni sforzo di cambiamento.  Come farlo? Con l’affetto. Ricostruendo “per le vie del cuore” quello che la vita ha demolito. Pedagogicamente il disegno poggia sull’insistenza, sulla reiterazione dei tentativi; sulla forza dell’ambiente e della continuità: ne verrà fuori poco, non importa. Conta la speranza attivata nel processo e la condivisione di quella speranza. Questo appare alle origini.

Andrebbe sollecitato un senso diverso di relazione col Fondatore…

Don Guanella è come la buona madre di una famiglia numerosa del terzo mondo. Non ha studiato molto. I suoi figli, invece, che si sono recati all’estero, si sono evoluti ed istruiti, persino specializzati nelle varie discipline, disperdendosi su tutti i continenti. Hanno imparato lingue nuove, che ormai parlano con naturalezza. Sono più grandi di lei. Di tanto in tanto, però, essi si ritrovano insieme presso la madre, che è rimasta nell’antica Casa, ed ella è felice di rivederli, di verificare i loro progressi, di gioire delle loro imprese. Li ascolta; non sempre comprende tutto di quello che dicono, soprattutto perché, avendo dimenticato la lingua materna, essi si esprimono spesso più agevolmente in lingue diverse. Quando iniziano a non capirsi più e a discutere, ella interviene parlando l’antica lingua comune: “Quale è il vostro problema? Torniamo all’inizio, dove tutto è cominciato, quando si viveva insieme e si parlava la stessa lingua, più semplice, ma sufficiente per essere uniti”.

Questo patrimonio comune degli antichi concetti e dei primi modi di sentire è la condizione perché tutte le Case, tralci di un’unica vite, custodiscano la relazione filiale con la Madre che non rigetta i progressi conseguiti dai figli a contatto con le culture del mondo e si mostra accogliente verso tutti, senza mai prendere posizione per gli uni contro gli altri. Solo li invita a recarsi spesso nella Casa degli inizi per incontrarsi tra fratelli, confrontare il linguaggio, verificare i nuovi modi di esprimere il carisma. 


Continua

COMINCIANDO...La preoccupazione per le origini (1)
COMINCIANDO...Don Guanella e la sua Famiglia oggi (2)
COMINCIANDO...Don Guanella è il testimone delle origini (3)
COMINCIANDO...Don Guanella è l’iniziatore della Casa ‘Madre’ di tutte le Case (4)
COMINCIANDO...Don Guanella è maestro di santità (5)
COMINCIANDO...Don Guanella è il padre dell’accoglienza (6)
COMINCIANDO...Cominciando da Como – Tornando a Como (7)


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