Ci sono scritti di cui il tempo non intacca la validità. I comandamenti, formulati per un piccolo popolo del deserto oltre 3200 anni fa, sono tuttora basilari per ogni civiltà e guida per la vita di innumerevoli uomini. Non se ne contano i commenti e le interpretazioni; richiamiamoli divisi in tre gruppi.
Cominciano, con la relazione tra l'uomo e Dio.
Primo: Dio è l'unico, e non ammette gli se ne oppongano altri (neppure quelle divinità di fatto che guidano la vita di molti, quali il danaro o il potere).
Secondo: non si deve pronunciare invano il suo nome (soprattutto con intento offensivo, come la bestemmia).
Terzo: lo si deve onorare, in particolare con la festa (il sabato per gli ebrei, la domenica per i cristiani: astenendosi dal lavoro e partecipando alla Messa).
Il secondo gruppo riguarda il rispetto che ogni uomo deve ai suoi simili: onora il padre e la madre, non uccidere (è detto in assoluto: quindi no alla guerra, alla pena di morte, all'aborto, all'eutanasia e ad altri pretesti per togliere la vita a qualcuno), non commettere adulterio, non rubare (né ai singoli, né alla collettività evadendo le tasse), non mentire a danno del prossimo.
Per capire la validità di questi precetti, basta pensare a quale meraviglia diventerebbe il mondo se da domattina tutti li osservassero alla lettera.
Infine, il gruppo dei due ultimi, di sorprendente acume psicologico: non desiderare, né la donna né i beni altrui. Il male ha radice nel desiderio di far proprio quello che proprio non è. Le leggi umane condannano i comportamenti illeciti; Dio invece vede l'intenzione, e comanda di correggerla. Ai suoi occhi l'intenzione, il desiderio coltivato di comportamenti sbagliati, conta quanto il tradurli in atto, anche se la traduzione non dovesse avvenire.