EDUCARE FACENDO LA CARITÀ:
IL SEGRETO DI SAN LUIGI GUANELLA
Per Don Guanella, la carità, l’amore, la misericordia, la benevolenza sono gli strumenti privilegiati con cui il Dio di Gesù Cristo educa noi uomini. Da qui il suo insegnamento pedagogico di base: “Educare come Dio educa”. Ma da qui anche una metodologia semplice (don Guanella non è un pedagogista, è un educatore) e al tempo stesso esigente (perché mutuata direttamente dal Vangelo): educare richiede sempre vicinanza e attenzione al singolo, alla persona concreta, non si educa mai in generale; l‘attenzione, a sua volta, qualsiasi attenzione all’educando è sempre un gesto di amore, un dono: non è solo qualcosa di esteriore o di superfluo che può anche mancare, ma è qualcosa che si toglie dalla propria profondità e la si offre all’educando in modo gratuito e continuo; l’attenzione educativa infine non esclude nessuno, non discrimina, ma tutti incoraggia e sostiene (anche un debole mentale), perché crede tutti educabili la loro parte. Giustamente Don Guanella riassumeva questo suo metodo con un’espressione molto significativa: “Abbiate sempre la carità di persona”.
Don Guanella, alla Chiesa e alla società di oggi lascia in eredità, oltre l’esempio di una carità eroica, anche quello di un servizio alla vita, inteso nel suo significato più ampio. Impressionano Don Guanella l’avvilimento, l’abbandono in cui giace, nel suo tempo, la vita spirituale e quella fisica dell’uomo. “Chi è in questa sofferenza, scrive, merita le nostre attenzioni, anzi la nostra venerazione”. Suggeriva perciò di soccorrere ogni anelito, ogni vagito che saliva dal mondo della marginalità. Voleva che ci si prendesse cura della famiglia, come culla della vita, luogo naturale della sua generazione e formazione. Esortava la comunità cristiana a divenire una centrale educativa nei riguardi della vita. Non distribuire solo beni materiali ai poveri. Ma anche l’annuncio instancabile della verità. A tutti, a partire dai suoi religiosi, raccomandava la “compassione”. Niente di effeminato o di salottiero, ma il cuore dell’insegnamento evangelico, espresso nella parabola del Buon Samaritano. Compassione è vedere, ma non come guardare una scena. E’ vedere col cuore, commuoversi e di conseguenza “assumersi i pesi dell’agonia del prossimo”. Senza pretendere nulla di speciale. Come il Samaritano, che scompare dalla scena appena compiuto il suo gesto di soccorso.
(parte di intervista a don Nino Minetti –Sup. Prov., da Vita in Provincia, ott. 2011)