Catechesi del Card. Martini - parte terza -
VORREI PREGARE, MA COME? parte prima - parte seconda
Proviamo a chiederci: se in questo momento dovessi gridare, esprimere con un’invocazione ciò che chiedo a Dio di più profondo, ciò che maggiormente mi sta a cuore, con quali parole lo esprimerei?
Lasciamo che venga liberamente alla luce ciò che in quel momento preciso ci qualifica. Potrebbe essere l’invocazione: «Signore, abbi pietà di me»; oppure le parole: «Non ne posso più!»; «Ti lodo»; «Ti ringrazio»; «Vieni in mio soccorso»; «Sono sfinito».
Anche Gesù in una data ora della sua vita ha detto: «L’anima mia è triste fino alla morte», e in un altra: «Ti ringrazio, Padre, perché mi esaudisci sempre».
Cerchiamo tra tutte le invocazioni del cuore quella che maggiormente risponde a ciò che sentiamo, quella che può essere il punto di partenza della nostra preghiera, quella che qualifica la situazione che stiamo vivendo. Questa invocazione potrà ovviamente essere poi arricchita con preghiere altrui, approfondita con l’aiuto di altri che hanno pregato prima di noi e forse meglio di noi.
Questa invocazione può sembrare una realtà povera, semplicissima, un filo d’erba piccolissimo messo in confronto agli alberi giganteschi della preghiera dei santi. Però questo mio filo d’erba è ciò che io metto davanti a Dio come mia semplicissima preghiera.
Gesù ha richiamato la parola di quel pubblicano nel tempio: «Signore, abbi pietà di me peccatore».
Ecco, quest’uomo aveva trovato autenticamente il suo stato di preghiera e perciò tornò giustificato: con una sola espressione aveva messo a nudo completamente se stesso.
Aveva saputo esprimere il grido del suo cuore.