“Il viaggio dei Magi diventa l’emblema della vita cristiana intesa come ricerca. Ogni viaggio esige distacco, coraggio, speranza.
Chi è legato a terra dai pesi delle cose, dei vari attaccamenti, degli egoismi non è capace di essere ‘pellegrino’. Chi è convinto di possedere tutto e di avere il monopolio della verità non ha l’ansia della ricerca continua; egli è simile ai sacerdoti di Gerusalemme, freddi interpreti di una Parola che non li coinvolge né li converte.
Chi si è troppo ben piazzato nella città non ha bisogno di Betlemme, che anzi gli appare come un insignificante villaggio di provincia…
Il desiderio di salvezza di Dio non conosce confini; tutti lo possono sentire e raccogliere. E a Cristo, per strade misteriose, giungono schiere di cristiani «anonimi» che lo cercano e lo confessano senza pronunziare il suo nome. Il racconto dei Magi è una celebrazione del bene nascosto anche dietro fisionomie diverse dalle nostre di vecchi cristiani o di rigidi cristiani.
Per noi e per loro è necessaria, però, la ricerca, il viaggio, il rischio.
Alla fine del viaggio, dopo tante peripezie e molte oscurità, dopo silenzi e strade erronee, ecco, per tutti i giusti, Betlemme.
E’ significativo il quadretto finale: i Magi sono ormai raffigurati come perfetti credenti, «prostrati in adorazione». Infatti in tutto il racconto si ripeteva che la mèta del viaggio era la professione di fede: «Siamo venuti per adorarlo». A chi lo cerca con cuore sincero Dio si fa incontro; l’itinerario non è come quello delle carovane che si perdono nel deserto, ma conosce un approdo.”
dalle meditazioni di Mons. GIANFRANCO RAVASI